Il medico specializzando è un professionista sanitario che si è impegnato in un percorso formativo post-laurea per acquisire competenze specialistiche in una determinata disciplina medica.
E’ una figura ibrida, su cui negli anni sono sorti numerosi dibattiti in merito al suo inquadramento. C’è bisogno di una riflessione più approfondita sulla figura dello specializzando, che tecnicamente è considerato uno studente in formazione professionale, ma in alcuni casi viene regolamentato dalle leggi del diritto del lavoro. Questa figura è quindi ambigua, ibrida. Si prenda ad esempio la normativa che regola il suo orario di “formazione” (art. 40 del D.lgs. 368/99). La terminologia “impegno previsto per la formazione specialistica” invece che “orario di lavoro” nella legislazione, sottolinea la volontà del legislatore di distinguere lo specializzando da un lavoratore, nonostante in seguito debba comunque applicare la normativa sull’orario di lavoro per i medici.
Vediamo insieme di approfondire la questione.
Come funziona esattamente la specializzazione in medicina?
In Italia, la specializzazione medica dura circa 4/5 anni e prevede un periodo di formazione pratica sotto la supervisione di un medico esperto. I corsi comprendono teoria, pratica, esami annuali e la discussione di una tesi. Al termine viene rilasciato un diploma di specializzazione. La frequenza è obbligatoria.
Al termine del percorso, il medico specializzando è in grado di esercitare la propria professione con autonomia e competenza, sotto la responsabilità del Ministero della Salute.
Questa figura rappresenta un anello insostituibile della catena di funzionamento di un reparto sanitario, senza il quale il funzionamento sarebbe compromesso in pochi giorni: di questo ne abbiamo avuto prova durante la pandemia: gli specializzandi sono stati impiegati nei centri per i vaccini e nelle USCA (a questo proposito ti consigliamo la lettura di approfondimento che trovi qui sul sito di Rc Medici. Sebbene sia stato mitizzato da grandi eventi pop come Grey’s Anatomy, la realtà della situazione è ben più complessa e sfaccettata.
In questa sede vedremo di affrontare una questione: lo specializzando è un dipendente?
L’intervento della Cassazione in merito all’inquadramento dei medici specializzandi
Su questo quesito è intervenuta nel 2020 la Cassazione. Tutto è nato in seguito ad alcune richieste di medici siciliani che avevano frequentato i corsi di specializzazione intorno agli anni 2000. Questi medici si lamentavano di non essere stati pagati abbastanza (N.d.r.: E i praticanti avvocati o i tirocinanti dei commercialisti cosa dovrebbero dire?).
Questi medici, ex specializzandi, affermavano che l’attività da loro svolta a beneficio dell’università, tenuto conto dell’intensità degli impegni richiesti, non era di fatto da considerarsi un corso di formazione, ma in sostanza si trattava di una vera e propria attività lavorativa, al pari di quella svolta dagli altri medici strutturati che prestano la loro attività negli ospedali o nelle cliniche. Di fatto, secondo loro, si trattava di lavoro dipendente, pertanto loro richiedevano una retribuzione adeguata per il lavoro svolto. Contestualmente, accusavano una violazione dell’art. 249 comma 3 del trattato CEE (attualmente art. 288 TFUE) relativamente all’obbligatorietà della direttiva comunitaria: nell’ordinamento italiano, infatti, non è stato correttamente applicato il contenuto dell’Allegato I della Direttiva 93/16/CEE, che prevede un’opportuna remunerazione.
Dopo vari gradi di giudizio si arriva in Cassazione. Secondo i giudici della Corte Suprema, gli specializzandi non possono e non devono essere considerati dei lavoratori a tutti gli effetti. Perciò, non hanno il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del loro lavoro, come sancito dall’articolo 36 della Costituzione.
L’accordo tra medici specializzandi e ospedale/università non è un vero e proprio rapporto lavorativo, bensì una modalità mirata alla formazione professionale che prevede dei compensi a titolo di rimborso spese.
L’attività che questi medici svolgono presso ospedali e strutture cliniche durante il periodo di specializzazione, secondo gli Ermellini, è più simile ad un contratto di formazione-lavoro. Il denaro che percepiscono non è da intendersi come uno stipendio, ma come un compenso per l’impegno a tempo pieno investito nella loro formazione. In effetti si parla sempre non di stipendio dei medici specializzandi ma di una borsa studio (che tra l’altro è più che cospicua, oltre € 25.000 all’anno lordi).
Come sottolineano i giudici della Cassazione, i loro sforzi sono finalizzati al loro percorso di crescita, sotto forma di formazione e esperienza, rispetto ad avvantaggiare l’ospedale o l’Università. Conseguire una specializzazione porta all’ottenimento di un titolo e aiuta nel proprio percorso di carriera. Per questo motivo, non è equiparabile neppure al lavoro dei medici di recente assunzione all’interno del servizio sanitario nazionale.
Quindi la risposta è: lo specializzando non può essere considerato un medico dipendente.
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